lunedì 8 ottobre 2012


IL MONDO A PIEDI*

Camminare significa aprirsi al mondo. L’atto del camminare riporta l’uomo alla coscienza felice della propria esistenza, immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la piena partecipazione di tutti i sensi. È un’esperienza che talvolta ci muta, rendendoci più inclini a godere del tempo che non a sottometterci alla fretta che governa la vita degli uomini del nostro tempo. Camminare è vivere attraverso il corpo, per breve o per lungo tempo. Trovare sollievo nelle strade, nei sentieri, nei boschi non ci esime dall’assumerci le responsabilità che sempre più ci competono riguardo ai disordini del mondo; ma permette di riprendere fiato, di affinare i sensi e ravvivare la curiosità. Spesso camminare è un espediente per riprendere contatto con se stessi.
La facoltà peculiarmente umana di dare un senso alla realtà, di muoversi in essa comprendendola e condividendola con gli altri, nasce milioni di anni fa, nel momento in cui l’uomo si alza su due piedi. La posizione eretta e il perfezionamento dell’andatura bipede hanno difatti favorito il liberarsi della mano e del viso. Le migliaia di movimenti che sono stati resi così possibili hanno infinitamente ampliato la capacità di comunicazione e il margine di manovra dell’uomo nei confronti del suo ambiente e hanno contribuito a svilupparne il cervello. Come dice Leroi-Gouran (1982), la specie umana ha “inizio con i piedi”, anche se la maggior parte dei nostri contemporanei se lo scorda, pensando di discendere direttamente dall’automobile. Dal Neolitico in poi, il corpo, le potenzialità fisiche, la capacità di resistenza dell’uomo di fronte ai dati mutevoli dell’ambiente sono rimasti gli stessi. Malgrado l’arroganza di cui le nostre società si rendono deprecabilmente colpevoli, noi abbiamo le stesse facoltà di cui disponeva l’uomo di Neandertal. Per millenni, e ancora oggi in molte parti del pianeta, l’uomo si è servito dei piedi per trasferirsi da un luogo all’altro; in contatto corporeo diretto con la terra, si è prodigato nella produzione quotidiana dei beni necessari alla sua sopravvivenza. Sicuramente mai come nella società contemporanea si è fatto così scarso uso della mobilità e della resistenza fisica individuale. L’energia umana in senso stretto, derivante dalla volontà e dalle risorse più elementari del corpo (camminare, correre, nuotare e così via), viene stimolata di rado nel corso della vita quotidiana in rapporto al lavoro, agli spostamenti e così via. Il bagno nei fiumi, come ancora si usava negli anni sessanta, non si fa quasi più se non in pochi luoghi autorizzati, non si usa più la bicicletta (se non in forma quasi militante e non priva di rischi), né tantomeno le gambe, per andare al lavoro o svolgere le incombenze quotidiane.

Quella umana è una condizione immobile o seduta, sostituita per il resto da una serie di protesi. Non fa meraviglia che oggi il corpo venga percepito come un’anomalia, un dispositivo imperfetto che dev’essere migliorato e che alcuni sognano perfino di eliminare. Le attività individuali consumano più energia nervosa che fisica. Il corpo è un residuo contro cui si scontra la modernità, e diventa tanto più difficile da accettare quando più si riduce il numero delle sue attività dirette nell’ambiente. Questa cancellazione intacca la visione che l’uomo ha del mondo, limita il suo campo d’azione nel reale, diminuisce il suo senso di consistenza dell’io, indebolisce la sua conoscenza delle cose. A meno che l’erosione di sé non venga frenata per mezzo di attività compensative. I piedi servono più che altro per guidare l’automobile, o per sorreggere il pedone al momento di salire sul marciapiede o sulla scala mobile, e i loro proprietari sono ridotti per lo più al rango di infermi, cui il corpo non serve più a niente se non a mortificare l’esistenza. Per il resto, essendo sottoutilizzati, diventano spesso causa di fastidio, e potrebbero tranquillamente essere sistemati in una valigia. Già negli anni cinquanta, Roland Barthes annotava che: “Camminare è forse, mitologicamente, il gesto più comune, e quindi il più umano. Che sia nel ritratto o nell’automobile, qualunque sogno, qualunque immagine ideale, qualunque promozione sociale abolisce in primo luogo le gambe” (Barthes, 1957). Del resto, parlando di uno sciocco, si dice che “ragiona con i piedi”.


*Tratto da: IL MONDO A PIEDI di David Le Breton, elogio della marcia. Ed. Feltrinelli 2001

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